PNR 2021-2027: la (non) consultazione di Gaetano Manfredi

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PNR | Pochi giorni fa si è conclusa la “consultazione pubblica” che il Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) aveva avviato all’inizio di agosto riguardo l’elaborazione del Programma nazionale della ricerca (PNR) 2021-2027. Con un’evidente ed orgogliosa enfasi, la nota del Ministero – poi ripresa con pari entusiasmo anche da TV e quotidiani – annunciava una programmazione della ricerca partecipata e dinamica e, per la prima volta, finalmente aperta anche alle realtà che sono al di fuori del mondo accademico e della ricerca. La realtà dei fatti è però radicalmente diversa, come ADI ha potuto constatare nel prendere parte alla consultazione.

 

Il metodo: se questa è una consultazione! 

Le aspettative di chi concretamente vuole partecipare a tale processo di “consultazione” si infrangono quando viene svelato l’unico canale di tale consultazione: un questionario online in cui, per lo più, si è chiamati ad esprimere la propria adesione o non adesione alle affermazioni e alle opzioni messe a disposizione nel modulo, generalmente esprimendosi in una classica scala di valutazione che va da 1 a 5(!). 

Si tratta di un metodo che ricorda più le tecniche di rilevazione statistica con cui si raccolgono le informazioni su un campione di interviste – magari proprio allo scopo di tirar fuori un dato sintetico da offrire ai media e al grande pubblico su quanto il Programma possa piacere al mondo – piuttosto che un vero processo partecipativo di elaborazione e confronto su un tema vasto e complesso come la programmazione della ricerca dei prossimi otto anni. Gli stessi contenuti su cui si è chiamati ad esprimersi, definiti come “Elementi preliminari” e “Grandi Ambiti di Ricerca e Innovazione”, costituiscono un corpo vastissimo di proposte sostanzialmente già definite. Le linee programmatiche che il Ministero offre alla consultazione pubblica, infatti, sono dei ponderosi documenti di dettaglio il cui livello di raffinazione tradisce la scarsa disponibilità ad un vero confronto. Anche solo l’elegante veste grafica tradisce la natura definitiva del PNR oggetto di “consultazione”.

Il metodo, purtroppo, non ci sorprende affatto. Come abbiamo già denunciato in altre occasioni, il MUR a guida Manfredi dimostra un chiaro atteggiamento di sostanziale chiusura a percorsi autenticamente partecipati e condivisi di co-definizione di obiettivi, strategie, scelte e riforme del sistema universitario con i soggetti e le categorie che lo vivono quotidianamente. Ci chiediamo, ad esempio, chi siano e con quali criteri siano stati scelti i «circa 240 esperti provenienti dal mondo dell’Università e degli Enti Pubblici di Ricerca, organizzati in 28 gruppi di lavoro», che hanno di fatto confezionato i documenti programmatici. E, specularmente, ci chiediamo perché le associazioni che da decenni rappresentano parti del mondo accademico, come l’ADI, non vengano convocate al MUR per una vera consultazione. Noi, come sempre, siamo disponibili al confronto

 

I contenuti: tra strettoie burocratiche e voglia di privatizzare

Come anticipato, i documenti programmatici consistono essenzialmente negli Elementi preliminari (allegato A) e nei sei Grandi Ambiti di Ricerca e Innovazione (allegato B), questi ultimi suddivisi in ventotto Ambiti tematici, a loro volta declinati in “Articolazioni” che consistono essenzialmente nelle linee di ricerca proposte. Il primo dei due documenti consta di 48 pagine in cui le idee e le proposte vengono per lo più riassunte con semplici punti-elenco e colorate infografiche slide dopo slide, e quindi probabilmente più a favor di diffusione mediatica che per un’esaustiva interlocuzione con le parti sociali. Le 120 pagine dei Grandi Ambiti di Ricerca e Innovazione consistono invece in bulimiche descrizioni ricche di superflui anglicismi che ricalcano nella sostanza i contenuti dei documenti della Commissione Europea su Horizon Europe.  Un tale sforzo assume più un sapore burocratico che programmatico e fa emergere proprio la volontà di  incanalare in spazi angusti e predeterminati la direzione della ricerca e dei fondi da destinare ad essa nei prossimi anni.

La direzione a cui la maggior parte dei fondi sembra (pre)destinata emerge già nei criteri di raggruppamento dei sei “grandi ambiti” (Salute; Scienze sociali; Sicurezza; Informatica e Industria; Energia e Mobilità Sostenibile; Agroalimentare e Ambiente), che dimostrano infatti di dedicare lo spazio maggiore, direttamente o indirettamente, a quei settori a più alto ed immediato rendimento economico. rispetto alle pur fondamentali scienze sociali (infatti accorpate alle scienze umane e comunque declinate soprattutto nelle loro implicazioni socio-economiche) e alla più lungimirante e strategica ricerca di base. Le singole Articolazioni fanno poi esplodere chiaramente uno scenario a più riprese denunciato dall’ADI: quello di una sempre più stretta compenetrazione tra pubblico e privato, tanto nella definizione di progetti e linee di ricerca, quanto nei (co-)finanziamenti. Sebbene una sana collaborazione tra le due sfere sia più che auspicabile, quello che denunciamo è un disegno programmatico di progressivo assoggettamento della ricerca pubblica alle esigenze materiali e di breve periodo dell’impresa e della ricerca privata. Lo vediamo, ad esempio, nel considerevole spazio che viene dedicato ad un mantra del MUR a guida Manfredi: i dottorati innovativi a carattere interdisciplinare/intersettoriale/internazionale e in quelli (recentemente ricompresi nel concetto di “dottorato innovativo”) a carattere industriale. Si tratta di una tipologia di dottorato che presenta certamente delle potenzialità, ma anche numerosi e gravi problemi – tra cui il vincolo di restituzione delle borse ricevute, gli asfissianti meccanismi di controllo e valutazione, la mancata erogazione dei budget etc. – che noi dell’ADI continuiamo a denunciare, ma su cui il Ministero continua a non fornire alcuna risposta.  

 

La rotta politica e i grandi assenti

Il PNR 2021-2027 prosegue dunque lungo la strada tracciata anche da un altro recente documento programmatico partorito durante questa legislatura: il celebre Piano Colao, già ampiamente criticato su dottorato.it. Tra progressiva aziendalizzazione dei nostri atenei – inarrestabile ormai sin dai tempi della pessima riforma Gelmini – ed una sempre più invasiva presenza degli interessi economici privati, il futuro che questo governo vuole disegnare per la ricerca italiana è, insomma, sempre più chiaro. 

Noi dell’ADI, al contrario, continueremo a difendere e valorizzare le peculiarità della ricerca pubblica, nei suoi obiettivi sociali e nella sua naturale organizzazione strutturale, con le nostre campagne e con le proposte che abbiamo elaborato insieme alla nostra comunità. 

Con riferimento alle proposte avanzate negli anni dalla nostra associazione, possiamo guardare con favore almeno allo spazio che il PNR 2021-2027 (a dire il vero, anche grazie alle pressioni delle direttive dell’Unione Europea) dà all'Open Access, ai principi FAIR (Findable, Accessible, Interoperable, Reusable) e alle iniziative europee come PlanS ed EOSC (European Open Science Cloud). Anche su questo punto, tuttavia, va sottolineata la sostanziale incompatibilità di fondo tra le linee di indirizzo europee sull'Open Access e il sistema di “valutazione di Stato” italiano rappresentato dai criteri ANVUR per la VQR, l'ASN e l'accreditamento di dottorati e CdL: un sistema prigioniero di alchimie valutative buro-tecnocratiche che associazioni come la nostra continuano a denunciare da anni (e disconosciute nella loro validità dalle stesse agenzie di valutazione europee), legate ad un uso distorto e distorsivo della bibliometria, delle “soglie”, delle “mediane” e dei “percentili”. In altre parole, il nostro attuale sistema di valutazione è inadatto, per via della sua rigidità formale, a far propri i principi dell’Open Science e dell’Open Access. L’attuale sistema, infatti, premia esclusivamente la produzione di “prodotti di ricerca” (a detrimento della didattica), la cui qualità percepita dipende solo dal contenitore, le riviste internazionali di grande fama (di fascia A) – incidentalmente, di proprietà di pochi grandi editori privati che sfruttano così i risultati di una ricerca finanziata prevalentemente con risorse pubbliche. Un vero impegno in favore dell’Open Science richiederebbe dunque una profonda revisione dei criteri dell’ANVUR.

Infine, quello che riteniamo l’aspetto più preoccupante di questa programmazione pluriennale è certamente l’assenza di linee programmatiche di riforma organica dell'Università e della ricerca in Italia: sullo status del dottorando, sul superamento del precariato nel post-doc con un reclutamento stabile e ciclico e sulla valorizzazione del dottorato e della ricerca nella Pubblica Amministrazione, nelle imprese e nella Scuola

Su tutti questi temi, l’ADI rilancia le proprie elaborazioni e proposte, chiedendo al ministro Gaetano Manfredi una consultazione autentica ed interlocutoria per definire, insieme a chi rappresenta i dottorandi, i ricercatori precari e i dottori di ricerca alle prese con l’ostile mercato del lavoro di questo Paese, le direttrici della programmazione nazionale della ricerca dei prossimi otto anni.  

 

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