ADI audita al Senato sulla proroga degli assegni di ricerca

Onorevoli Senatori,

Come Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca in Italia, che da venticinque anni rappresenta i giovani precari della ricerca, vorremmo portare la vostra attenzione in particolare alla disposizione di cui all’articolo 6, comma 1 del provvedimento in esame. La disposizione in oggetto reca la proroga fino al 31 dicembre 2023 del termine entro il quale università, istituzioni ed enti pubblici di ricerca possono continuare a indire procedure per il conferimento di assegni di ricerca secondo la disciplina di cui all’articolo 22 della legge 240 del 2010, nel testo previgente alle modifiche introdotte dall’ all’articolo 14, comma 6-septies del dl 36 del 2022, come convertito dalla legge 79 del 2022.

Nonostante nelle intenzioni originarie del legislatore gli assegni fossero una figura residuale, ad oggi, secondo i dati del Ministero dell’Università e Ricerca, vi sono più di 15.700 assegnisti di ricerca in Italia. La figura dell’assegnista rappresenta tuttavia una delle forme di impiego del comparto universitario più precarie: si tratta di un percorso lavorativo caratterizzato da una forte intermittenza, con periodi di lavoro solo in rari casi più lunghi di un anno, intervallati a periodi più o meno lunghi di disoccupazione, da un trattamento economico insufficiente a garantire un dignitoso tenore di vita nelle principali città italiane e dall’assenza di adeguate garanzie sia in relazione al rapporto di lavoro sia alle tutele previdenziali. La condizione lavorativa degli assegnisti risulta ulteriormente aggravata dal fatto che soltanto una minima parte di essi vede soddisfatta la propria aspettativa di essere assunta stabilmente come lavoratore nel sistema della ricerca.

La riforma del preruolo introdotta nel giugno 2022 dal dl. 36 nel più ampio contesto delle riforme PNRR, prefigura un netto superamento dell’assegno di ricerca, attraverso la nuova figura del contrattista di ricerca: si tratta di un vero e proprio lavoratore subordinato a tempo determinato, con un rapporto di lavoro dalla durata di almeno due anni invece che uno e il cui trattamento economico, definito in sede di contrattazione collettiva, non potrà essere inferiore al trattamento iniziale spettante al ricercatore confermato a tempo definito. 

I contratti di ricerca, come anche indicato dalla relazione di accompagnamento al testo qui in esame, sono dunque “caratterizzati da maggiori tutele e tali da assicurare un trattamento economico sensibilmente migliore ai giovani che si avviano alle carriere della ricerca”. L’implementazione della disciplina di questa nuova figura professionale ha comportato, tuttavia, il manifestarsi di significative problematiche in sede applicativa. 

In primo luogo, il rinvio alla contrattazione collettiva per la definizione del trattamento economico del contratto di ricerca ha determinato che, in assenza di un nuovo CCNL, gli Atenei e gli enti di ricerca abbiano ritenuto di non poter stipulare contratti di ricerca. Le medesime incertezze hanno portato quest’ultimi a non procedere neppure all’approvazione dei regolamenti interni necessari a disciplinare le procedure di conferimento dei contratti, lasciando di fatto l’applicazione del nuovo strumento contrattuale in un limbo indefinito.

L’adeguata implementazione della disciplina dei contratti di ricerca è, tuttavia, ostacolata da un ben più significativo problema strutturale. Il contratto di ricerca risulterebbe significativamente più costoso rispetto agli assegni di ricerca. In assenza di una misura straordinaria di finanziamento per il reclutamento di contrattisti di ricerca gli Atenei e gli enti di ricerca sarebbero impossibilitati a bandire un numero di posizioni comparabile a quelle dapprima previste per gli assegni, con il rischio di un decremento, secondo le stime della nostra Associazione, di più di 6.000 unità. L’assenza di qualsivoglia misura aggiuntiva nella legge di bilancio recentemente approvata impedisce così la possibilità di una effettiva attuazione nel corso del 2023 della riforma del reclutamento universitario.

Tali ragioni sembrano dunque giustificare la scelta di estendere il termine per bandire assegni di ricerca sino al 31 dicembre 2023. Affinché la proroga sia un intervento pienamente condivisibile è tuttavia necessario che essa non rappresenti un rinvio sine die dell’applicazione della riforma del preruolo, ma che si concreti l’intento desumibile dalla relazione di accompagnamento, secondo la quale la proroga è funzionale, cito, a “dare compiuta ed organica attuazione alla riforma delle procedure di reclutamento nel sistema universitario”.

In questo senso, riteniamo sia necessario che la proroga di cui qui si discute sia accompagnata da un impegno a definire quanto prima in sede di contrattazione collettiva il trattamento economico del contratto di ricerca, e, parallelamente, che siano sollecitati gli enti, nel rispetto della loro autonomia, ad adottare in tempi utili i relativi regolamenti interni. La proroga deve inoltre trovare il proprio completamento, per le ragioni anzidette, in una misura radicale di rifinanziamento del sistema della ricerca italiano. Senza il necessario intervento in sede di bilancio, la riforma del preruolo universitario non sarà che un intervento monco, mancando i propri obiettivi e venendo meno ai suoi intenti.

Da ultimo, in attesa di un intervento di rifinanziamento complessivo del settore della ricerca, è tuttavia necessario individuare le modalità per dare una prima attuazione alla disciplina del nuovo contratto di ricerca, anche al fine di conformarci agli impegni assunti in sede di definizione del PNRR. In quest’ottica, vorremmo portare all’attenzione della Commissione una proposta di intervento. Dal momento in cui la figura del contrattista di ricerca sarà regolata in sede di contrattazione collettiva, riteniamo preferibile prevedere che le risorse straordinarie dei fondi del PNRR siano prioritariamente destinate al finanziamento dei nuovi contratti di ricerca. In particolare, riteniamo importante che i progetti PNR e PRIN che saranno banditi nel 2023 a valere su fondi PNRR consentano una prima introduzione dei contrattisti di ricerca nel sistema universitario italiano. Trattandosi di fondi aggiuntivi, un tale intervento permetterebbe di favorire sia la piena realizzazione delle progettualità finanziate nell’ambito del PNRR, sia di favorire l’applicazione della riforma del preruolo – che del PNRR, peraltro, costituisce parte integrante. Proponiamo quindi rispettosamente all’attenzione delle Commissioni l’opportunità di meglio delimitare la proroga introdotta dall’articolo 6, comma 1, del testo in esame, prevedendo che a valere sulle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza non possano essere indette procedure per il conferimento di assegni di ricerca, di modo da riservare quelle risorse alla graduale implementazione della riforma del preruolo.

Ringraziandovi dell’attenzione riservataci, confidiamo che il Parlamento e voi Commissari possiate essere da sprone nei confronti del Governo e possiate fare vostro questo nostro stimolo a ripensare le modalità di finanziamento di un comparto strategico per lo sviluppo sociale, culturale ed economico del nostro Paese quale quello universitario.