La tutela del diritto di raccontare: verso il recepimento della direttiva UE sul whistleblowing

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Il Questionario sulle condizioni dei dottorandi in Italia, che abbiamo diffuso lo scorso anno in occasione della raccolta dati che ha portato alla presentazione della nostra VIII Indagine annuale, ha evidenziato in modo ancora più preciso le difficoltà a cui i dottorandi e le dottorande sono sottoposti, soprattutto nella relazione con il tutor. I casi di mobbing, di carenza di etica professionale, anche in relazione a questioni di proprietà intellettuale, nonché l’uso scorretto di fondi legati alla ricerca e richieste lavorative che vanno ben oltre il già consistente impegno previsto,  configurandosi molto spesso come vero e proprio sfruttamento, risultano essere tra i primi fattori a cui si devono l’insorgere di problemi nella relazione dottorando-tutor. 

La situazione per chi svolge attività di ricerca post-dottorale non è molto migliore: non si contano le segnalazioni che riceviamo allo Sportello ADI (sportello [dot] adiatdottorato [dot] it) da parte di colleghi che raccontano le loro storie di sopraffazione e violenza psicologica, dovute ai detentori di un potere accademico che li priva di qualsiasi forma di responsabilità. Le figure precarie della ricerca accademica, inoltre, sono spesso testimoni di fenomeni di corruzione e pratiche illecite che li coinvolgono in prima persona o di cui vengono a conoscenza nello svolgimento delle proprie attività accademiche. 

Abbiamo effettuato una ricognizione delle  norme attualmente vigenti per consentire ai precari della ricerca di far valere i propri diritti in situazioni di mobbing e di corruzione, pubblicando una apposita Guida. Ma non basta. Siamo ancora, tutti, privi delle tutele necessarie per non temere ritorsioni e conseguenze negative sui nostri percorsi di lavoro e di ricerca scientifica. Il motivo risiede nel fatto che in Italia, allo stato attuale, le norme sul whistleblowing, ovvero sul diritto alla tutela giuridica nel momento in cui si denuncia un sopruso sul posto di lavoro, si applicano soltanto ai lavoratori con contratti di tipo subordinato. 

Nel corso del 2019, l’Unione europea ha emanato una importante direttiva che estende un insieme di tutele anche a chi svolge un lavoro precario. Si tratta di un passo importante, dato che fino a questo momento le tutele erano riservate unicamente ai lavoratori con contratti di lavoro di tipo subordinato. Avevamo già denunciato quanto una legge di questo tipo fosse iniqua nei confronti dei lavoratori precari della ricerca, continuando a parlarne anche in occasione del convegno Quando l’Università pensa sé stessa. Riflessioni su etica, cultura e legalità, e della Giornata mondiale contro la corruzione

Al Considerando n. 38 della citata direttiva si legge che “[...] La protezione dovrebbe [...] essere concessa anche ai lavoratori con contratti atipici, compresi i lavoratori a tempo parziale e i lavoratori con contratti a tempo determinato, nonché alle persone che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro con un’agenzia interinale, che sono tipi di rapporti di lavoro precari cui è spesso difficile applicare forme standard di protezione contro il trattamento iniquo [...]”. 

Le tutele riguardano, in particolare, il divieto di ritorsione, articolato nei seguenti punti: 

a) il licenziamento, la sospensione o misure equivalenti; 

b) la retrocessione di grado o la mancata promozione; 

c) il mutamento di funzioni, il cambiamento del luogo di lavoro, la riduzione dello stipendio, la modifica dell’orario di lavoro; 

d) la sospensione della formazione; 

e) note di merito o referenze negative; 

f) l’imposizione o amministrazione di misure disciplinari, la nota di biasimo o altra sanzione, anche pecuniaria; 

g) la coercizione, l’intimidazione, le molestie o l’ostracismo; 

h) la discriminazione, il trattamento svantaggioso o iniquo; 

i) la mancata conversione di un contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro permanente, laddove il lavoratore avesse legittime aspettative di vedersi offrire un impiego permanente; 

j) il mancato rinnovo o la risoluzione anticipata di un contratto di lavoro a termine; 

k) danni, anche alla reputazione della persona, in particolare sui social media, o la perdita finanziaria, comprese la perdita di opportunità economiche e la perdita di reddito; 

l) l’inserimento nelle liste nere sulla base di un accordo settoriale o industriale formale o informale, che possono comportare l’impossibilità per la persona di trovare un’occupazione nel settore o nell’industria in futuro; 

m) la conclusione anticipata o l’annullamento del contratto per beni o servizi; 

n) l’annullamento di una licenza o di un permesso; 

o) la sottoposizione ad accertamenti psichiatrici o medici.”

(CAPO IV, art. 19)

Sono inoltre incluse anche specifiche misure di sostegno:

1. Gli Stati membri provvedono affinché le persone di cui all’articolo 4 abbiano accesso, a seconda dei casi, a misure di sostegno, in particolare: 

a) a informazioni e consulenze esaustive e indipendenti, facilmente accessibili al pubblico e a titolo gratuito, sulle procedure e i mezzi di ricorso disponibili in materia di protezione dalle ritorsioni e sui diritti della persona coinvolta; 

b) a un’assistenza efficace da parte delle autorità competenti dinanzi a qualsiasi autorità pertinente associata alla loro protezione dalle ritorsioni, compreso, ove previsto dal diritto nazionale, la certificazione del fatto che possono beneficiare della protezione prevista dalla presente direttiva; e 

c) al patrocinio a spese dello Stato nell’ambito di un procedimento penale e di un procedimento civile transfrontaliero conformemente alle direttive (UE) 2016/1919 e 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio ( 48), nonché, in conformità del diritto nazionale, al patrocinio a spese dello Stato nell’ambito di ulteriori procedimenti e a consulenze legali o altri tipi di assistenza legale. 

(CAPO IV, art. 20)

Si tratta di un passo in avanti considerevole, se consideriamo che la maggior parte dei fenomeni legati a mobbing e sopraffazione si verificano proprio laddove sussistono condizioni lavorative precarie. Un ricercatore precario è fortemente ricattabile e soggetto a minacce, per il semplice fatto che le possibilità di fare carriera accademica sono legate ai rapporti personali con il proprio tutor. Tutto ciò è profondamente lesivo della dignità personale di chi inizia a lavorare nell’università, e non fa altro che perpetuare quel sistema di potere legato a baronati che da anni cerchiamo di combattere, ma che continua a imperversare nel sistema accademico italiano, contribuendo a renderlo tossico. 

Affinché la direttiva UE venga recepita anche in Italia, è necessario attendere la presentazione in Parlamento del disegno di legge di delegazione europea che, ai sensi dell’art.29 comma 4 della legge 234/2012, deve essere avvenire entro il 28 febbraio di ogni anno. 

A poco più di un mese dalla XXV Giornata internazionale della memoria e dell’impegno organizzata da Libera, come ADI chiediamo che la direttiva europea venga recepita dal Governo italiano, in modo da assicurare alle moltissime figure precarie della ricerca, la tutela da fenomeni di mobbing, corruzione e sopraffazione che di fatto mettono fortemente a rischio il loro lavoro di formazione e di ricerca. 

A tale scopo, abbiamo inviato una lettera alla Commissione Politiche dell’Unione europea del Senato e al relatore della legge di delegazione europea 2019, sollecitando un corretto recepimento della direttiva sul whistleblowing, tale da predisporre un’adeguata tutela anche a favore dei ricercatori precari

Restiamo a disposizione per fornire alle istituzioni informazioni utili affinché la voce delle categorie che rappresentiamo venga ascoltata.