La storia non insegna. Tutti gli errori del MIM sul reclutamento docenti

A sette mesi dal nostro comunicato rivolto al Ministro Giuseppe Valditara, è stata resa pubblica una prima bozza del decreto ministeriale attuativo della riforma del reclutamento. A stretto giro è seguita l’approvazione in Consiglio dei Ministri del Decreto PA bis, contenente delle rilevanti modifiche alla Legge 79/2022, la quale disciplina il nuovo iter di reclutamento dei docenti della scuola secondaria di primo e di secondo grado. 

L’Associazione Dottorandi e Dottori di ricerca in Italia aveva espresso fin dallo scorso anno la propria contrarietà al ripristino dei percorsi abilitanti annuali, propedeutici alla partecipazione ai successivi concorsi. Tale sistema ripropone infatti le criticità emerse in passato con la SSIS e il TFA. In primo luogo, gli aspiranti docenti dovranno superare due selezioni: una per l’accesso al percorso abilitante e una successiva per il concorso. Il nuovo sistema crea inoltre un’ennesima, pregiudiziale selezione degli aspiranti sul piano economico, anziché sulle reali capacità di tutte e tutti. I costi di tali percorsi – dai 2500 euro per i 60 CFU fino ai 2000 del percorso abbreviato da 30 CFU – risultano infatti ad esclusivo carico dei corsisti. Si allungano, infine, i tempi per entrare in ruolo, condannando un numero cospicuo di futuri docenti abilitati al precariato. 

Dalle modifiche al fabbisogno dei percorsi abilitanti, contenute all’interno del Decreto PA bis, emerge poi il rischio concreto di formare un numero di abilitati superiore al reale fabbisogno territoriale. Secondo l'articolo 17, comma 3, del DL PA bis:

"Al decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 2-bis, comma 2, le parole: “senza che, in generale o su specifiche classi di concorso, si determini una consistenza numerica di abilitati tale che il sistema nazionale di istruzione non sia in grado di assorbirla” sono soppresse"

Di conseguenza, l’art. 2-bis comma 2 del dlgs 59/2017 prenderebbe la seguente forma: 

"Il Ministero dell'istruzione stima e comunica al Ministero dell'università e della ricerca il fabbisogno di docenti per il sistema nazionale di istruzione, ivi compresi le scuole paritarie e i percorsi di istruzione e formazione professionale delle regioni nonché le scuole italiane all'estero, nel triennio successivo, per tipologia di posto e per classe di concorso, affinché il sistema di formazione iniziale dei docenti generi, in maniera tendenzialmente omogenea tra le varie regioni, un numero di abilitati sufficiente a garantire la selettività delle procedure concorsuali”.

In accordo con l’articolo 6 della bozza del decreto ministeriale attuativo, riferita proprio al fabbisogno di insegnanti per l’attivazione dei percorsi di abilitazione, il MUR definirà ogni anno il "livello sostenibile di attivazione dei percorsi", aggiungendo che "se il numero delle domande di ammissione ai percorsi di formazione iniziale per specifiche classi di concorso eccede il livello sostenibile individuato ai sensi del primo periodo, le Università e le Istituzioni AFAM possono programmare a livello locale l’accesso a tali percorsi con le modalità individuate dal Ministero dell’università e della ricerca".

Ai singoli atenei è data quindi facoltà di autocertificare la propria capacità di assorbimento del fabbisogno formativo richiesto dal ministero, senza tener conto delle possibili discrepanze territoriali nella distribuzione dei posti da mettere a bando. Un copione che si ripete da tempo, a partire dall’attivazione dei percorsi di specializzazione sul sostegno, per i quali si è verificato un esubero di docenti specializzati al Sud a fronte di una forte carenza nel Centro-Nord. 

Un ennesimo e miope ritorno al passato è rappresentato poi dall’articolo 17 comma 2 del DL PA bis, che trasforma le graduatorie di merito del concorso ordinario in graduatorie ad esaurimento. Dopo un lungo braccio di ferro con la Commissione Europea, fortemente contraria alle lunghe code di idonei che per anni hanno contribuito alla paralisi dei concorsi, è stato al contempo disposto che tali graduatorie “sono utilizzate nei limiti delle facoltà assunzionali residuali rispetto alle immissioni in ruolo necessarie al raggiungimento dei target previsti dal PNRR”. Di conseguenza, si prospetta per gli idonei afferenti ad alcune classi di concorso - particolarmente critiche per la penuria di posti disponibili - un’attesa di molti anni, ben oltre i termini temporali fissati dal PNRR.   

Ci rammarica infine che i precari della ricerca siano stati nuovamente dimenticati, nonostante le proposte e le richieste di incontro più volte sollecitate dalla nostra associazione. Oltre alla mancata valorizzazione del dottorato di ricerca - frutto di una precisa volontà politica - sul nuovo sistema di reclutamento pesano l’iniquità economica, la lungaggine burocratica e la farraginosità organizzativa. Elementi questi ultimi, ben lontani da una qualsivoglia concezione egualitaria di “merito”, che comporteranno il definitivo allontanamento dalla professione docente di tanti aspiranti qualificati e motivati, ivi compresi i dottorandi e i dottori di ricerca.