Giulio, la parte migliore di noi

Pubblichiamo il testo dell'intervento dell'ADI - Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiani in occasione dell'iniziativa "La Sapienza in ricordo di Giulio Regeni", tenutasi oggi a Roma. 

 

Giulio Regeni era uno di noi, noi che abbiamo fatto della ricerca della conoscenza la nostra stella polare.

Certo, non abbiamo la presunzione di pensare che appartenga solo al nostro mondo. Nella sua generosa e profonda passione per la ricerca e per la politica Giulio ha attraversato tanti mondi, ognuno dei quali, in questi giorni, gli ha reso omaggio. Anche quando ciò comportava possibili rischi per le persone che lo facevano. “Giulio era uno di noi” si leggeva sui cartelli degli attivisti e dei rappresentanti dei sindacati indipendenti egiziani che il 6 febbraio hanno dato vita a un sorvegliatissimo sit in sotto l’Ambasciata italiana al Cairo. E ancora tra quei cartelli campeggiava la scritta, in italiano e in arabo, “Per Giulio, per l’Egitto”.

In quel Paese che ha visto la primavera soffocata da un golpe militare, Giulio è arrivato dopo un viaggio dalle molteplici tappe, sempre all’insegna di quelle due spinte – ricerca della conoscenza e passione politica – che, profondamente intrecciate, hanno plasmato il suo percorso.

Dopo le scuole elementari e medie a Fiumicello, Giulio ha frequentato i primi tre anni del liceo classico Petrarca a Trieste. Già allora la sua curiosità e la sua apertura verso nuove realtà sociali e culturali erano così forti da portarlo a migliaia di chilometri da casa per terminare gli studi superiori, nella sede del New Mexico dei Collegi del Mondo Unito.

Dal Montezuma Castle il suo percorso di formazione è quindi passato per l’Università di Cambridge, Regno Unito, dove, una volta conseguita la laurea, nel 2014 ha iniziato un corso di dottorato in Commercio e sviluppo internazionale presso di Dipartimento di Politica e studi internazionali.

È a questo punto che il suo lavoro di ricerca sui cambiamenti socio-economici nell’Egitto post-Mubarak e il suo desiderio di conoscere di persona, di osservare sul campo quelle trasformazioni, lo hanno portato al Cairo, come Visiting Scholar presso l’American University.

È a questo punto che la concezione della conoscenza da parte di Giulio si è imposta su tutto il resto, anche su probabili e comprensibili timori per la particolare natura del contesto in cui si sarebbe svolta la sua ricerca.

Per questo Giulio Regeni rappresenta la parte migliore di noi, perché ha abbracciato l’idea di un sapere che non è neutra comprensione della realtà ma che è presa di posizione e pratica concreta per la trasformazione di questa stessa realtà. Perché Giulio non si limitava a evidenziare le ingiustizie del mondo che studiava, ma si impegnava in prima persona per cambiare quel mondo in meglio.

Fin dai suoi primi lavori accademici Giulio ha mostrato una grande attenzione per i temi delle diseguaglianze sociali e del conflitto distributivo. In una videopresentazione realizzata per il concorso “Europa e giovani 2014”, ad esempio, mette in evidenza come nel sistema del capitalismo democratico occidentale la mobilità sociale abbia subito un brusco rallentamento a partire degli anni Ottanta, per raggiungere il minino storico in corrispondenza dell’esplodere della crisi del 2008.

Gli effetti di questi processi, scrive Giulio in un altro testo (2012), sono osservabili anche in scenari diversi da quello occidentale, sebbene ad esso strettamente legati. Giulio legge le “rivolte arabe” – definizione ripresa da Tariq Ramadan – scatenatesi a partire dal gennaio 2011 come il risultato della “progressiva rottura di un patto sociale tra gli autoritari governi nordafricani ed i loro popoli sottomessi”. Nel secondo dopoguerra i regimi autoritari di Egitto e Tunisia, i Paesi oggetto della sua analisi, passano infatti dalla “democrazia del pane” – sostegno popolare in cambio di lavoro e sussidi per le masse – a crescenti politiche di austerità e di deregolamentazione del mercato interno. Questa trasformazione, frutto anche delle pressioni di Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, ha come effetti l’aumento delle diseguaglianze sociali, il peggioramento della qualità della vita di larga parte della popolazione e la marginalizzazione dei sindacati, che pure avevano avuto un ruolo importante nel movimento di liberazione nazionale. Da tutto questo scaturirebbero le recenti rivolte arabe, frutto non tanto di un “risveglio” del mondo arabo, sostiene Giulio, ma “evoluzione di un ciclo storico di proteste intese a liberare il popolo arabo da governanti autoritari ed intromissioni esterne.”

Giulio era convinto che la vitalità di quelle proteste non fosse destinata a esaurirsi, nemmeno nell’Egitto illiberale di al-Sisi. Da settembre 2015 si è quindi trasferito al Cairo e ha cominciato il suo studio sul campo della difficile e pericolosa lotta del movimento dei sindacati indipendenti. È in questa fase della sua vita che ricerca e impegno politico, analisi di un mondo che cambia e necessità di orientare tale cambiamento attraverso la conoscenza hanno raggiunto la completa sovrapposizione.

In una serie di articoli per il Manifesto, Giulio ha cominciato a raccontare le forme di repressione con cui il regime militare sta cercando di stroncare scioperi e mobilitazioni, l’esplosione di centinaia di proteste sui luoghi di lavoro, segno di una conflittualità ancora non domata, i tentativi di riorganizzazione del movimento dei sindacati indipendenti, culminati, per il momento, in una vivace e partecipata assemblea da cui è nata l’idea di “organizzare una serie di conferenze regionali che portino nel giro di pochi mesi ad una grande assemblea nazionale e possibilmente ad una manifestazione unitaria di protesta”.

Non sappiamo con certezza se Giulio sia morto per aver raccontato tutto questo, per aver messo in evidenza la ferocia di un regime e la volontà di una parte del popolo egiziano di non arrendersi alla dittatura. Ma sappiamo che le quinte ormai sono cadute, anche quelle dipinte dal nostro Presidente del Consiglio quando, solo pochi mesi fa, definiva al-Sisi come “un grande leader”. Ora noi chiediamo che il Governo italiano faccia tutto il possibile per scoprire la verità sulla morte di Giulio. Nonostante gli intollerabili tentativi di insabbiamento da parte delle autorità egiziane, nonostante le loro reticenze e il loro ostruzionismo, nonostante i potenti interessi economici in ballo, il Governo trovi la verità. Per Giulio, per l’Italia.