La madre di tutte le (contro)riforme: i rischi del DL semplificazioni per l’Università

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Aggiornamento relativo alla bozza del DL Semplificazioni del 11 luglio e al decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale, entrato in vigore il 17 luglio 2020

Il 6 luglio il governo ha approvato, con l’ormai consueta formula del salvo intese, l’attesoil Decreto semplificazioni, salutato dal Presidente Conte addirittura come “la madre di tutte le riforme”, e che all’articolo 19 vede svariati interventi che attengono al comparto universitario.

Prima di scendere nel dettaglio delle disposizioni, è doveroso segnalare che continua la sgradevole prassi dell’intervenire sull’università e sulla ricerca senza coinvolgere i rappresentanti di questi mondi, fatta salva la CRUI, che sembra godere di un particolare favore da parte del Ministro competente. Questi non ha infatti ritenuto opportuno confrontarsi né con le parti sociali, né con le rappresentanze istituzionali democraticamente elette del mondo accademico (CNSU, CUN), allo stesso modo in cui il Governo non ha ricevuto nessun attore del comparto nel corso degli Stati Generali in cui si discuteva a partire dal “Piano Colao” (che abbiamo già analizzato su dottorato.it).

Continuare con questo piglio dirigista non può che portare a scelte deleterie, come esemplificato da alcune delle disposizioni contenute in questo provvedimento.

In particolare, quanto indicato al comma 1 (a) dell’articolo 19 è un pericoloso passo verso l’autonomia differenziata degli Atenei: la possibilità, già prevista nella Legge 240/2010, è che le università possano dotarsi di proprie modalità funzionali e organizzative; con l’approvazione del presente Decreto, persino la tenue riserva sulla sostenibilità di bilancio e l’elevato livello nella didattica e nella ricerca verrebbe rimossa, aprendo di fatto alla totale disgregazione del sistema. Un’ipotesi preoccupante, per la cui realizzazione mancherebbe solo un regolamento attuativo, finora mai approvato ma esplicitamente previsto dall’ex capo dipartimento del MIUR Giuseppe Valditara.

Se quella dell’autonomia differenziata degli Atenei è la strada che il MUR guidato da Gaetano Manfredi intende perseguire, il Ministro dovrebbe avere almeno la chiarezza di dichiararlo senza nascondersi, confrontandosi con gli interlocutori che rappresentano il mondo dell’università e della ricerca.

Altri interventi che comportano implicazioni pericolose è al comma (c): nei fatti, si liberalizza lo scambio di docenti, anche di fasce diverse, tra le università, con in più la costruzione di un meccanismo che favorisce la migrazione delle risorse a favore dei centri nelle migliori condizioni finanziarie. L’esatto contrario di una logica di sistema auspicabile, che vorrebbe un’iniziativa redistributiva, dopo anni di concentrazione delle risorse a favore di pochi grandi poli (perlopiù del centro-nord) e di aumento delle disuguaglianze interne al sistema.

Un’ulteriore disposizione che desta perlomeno perplessità è la possibilità di conferire assegni di ricerca al di sotto del minimo attuale di un anno di durata "esclusivamente" nel caso di progetti di ricerca con scadenza inferiore all'anno: questo limite verrebbe infatti abbassato a sei mesi. Un’ulteriore flessibilizzazione dell’assegno, che rappresenta poco più che un’estensione dei meccanismi di sfruttamento esistenti.

Infine, non si può non sottolineare il rafforzamento del ruolo della CRUI nel governo del sistema accademico contenuto nel presente decreto: all’interno del comitato direttivo dell’Agenzia Nazionale per la Ricerca (ancora non nata), il membro che dovrebbe essere designato dal CEPR, Comitato di esperti per la politica della ricerca, viene sostituito con un delegato del Presidente della CRUI. Un esplicito riconoscimento della distribuzione del potere all’interno dell’università.

Segnaliamo inoltre opportune le possibilità di anticipare la chiamata in ruolo come Professore associato degli RTDb che abbiano già conseguito l’abilitazione scientifica nazionale e l’equipollenza dei diplomi rilasciati dalle Scuole di eccellenza con i master universitari di I o II livello.

Il nostro giudizio complessivo sugli effetti del DL semplificazioni sul mondo dell’università e della ricerca resta dunque ampiamente negativo e non può che essere così: con la parola d’ordine della semplificazione si apre una breccia pericolosa, che anticipa inesorabilmente anche nuove forme di disuguaglianze e sfruttamento in un sistema accademico già altamente compromesso.

 

Differenze con la bozza del 6 luglio:

  • Il comma (e) è stato rimosso: "Infatti agli Atenei il cui indicatore di spesa per il personale è inferiore all’80% viene data la possibilità di disporre la chiamata di docenti in servizio presso università che superino quel parametro, con il trasferimento anche delle facoltà assunzionali corrispondenti. "
  • Il punto (h) dell'ex art. 14-ter che estendeva a tutti gli RTD il divieto, vigente attualmente per il personale strutturato, di partecipare a concorsi per RTD banditi dal proprio ateneo è stato rimosso.
  • È stata rimossa, purtroppo, anche l’estensione della maternità per gli RTD.
  • Vi è stata anche una differenza tra la bozza del 6 luglio e la versione definitiva del decreto pubblicata in Gazzetta Ufficiale: la possibilità, già prevista nella Legge 240/2010, che le università possano dotarsi di proprie modalità funzionali e organizzative non è più concessa solo a quelle “che hanno conseguito la stabilità e sostenibilità del bilancio, nonché risultati di elevato livello nel campo della didattica e della ricerca” ma, teoricamente, è concessa a tutti.